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Andare a scuola di politica: ma serve?

Si può essere scettici, rabbiosi, controvoglia, controsenso, contro-tutto; ma è impossibile non applaudire quel pazzo che nei primi tre giorni di settembre, quindi a partire da oggi, riunisce a Ponte di Legno, il meglio in fatto di montagna bresciana, trecento giovanotti disposti ad accantonare la vacanza per mettersi a studiare la politica, sì proprio quel serpente velenoso da cui molti insegnano ad allontanarsi, ma anche  l’unico modo per capire la differenza che c’è tra il dire, il fare e il servire per migliorare la società. Il pazzo in questione si chiama Matteo Renzi, un bischero fiorentino (che per me è un complimento) del quale si può dire tutto il bene e tutto il male possibile e immaginabile, ma che indubbiamente resta uno dei più intelligenti cursori della politica italiana.

Non mi interessano i giudizi espressi, in itinere o futuri sul fiorentino, che partono dall’antipatia o dalla simpatia, del prepotentismo o dal mammolismo, dall’esibito o dal sottaciuto, per non parlare del spocchiosismo mischiato al vanesioismo (se non trovate questi i termini appropriati, fate voi) che secondo alcuni trasforma la sua faccia umana in una vera e propria faccia di tolla. Mi interessano invece le idee che sorreggono il bischero e che il bischero porta in giro per l’Italia. E mi interessano perché sono idee prima democratiche, poi sufficientemente coraggiose e infine anche un tantino rivestite da quel cristianesimo che c’è sebbene non si veda e da un pensare cattolico che orienta piuttosto che disorientare. Matteo Renzi, pur essendo arrivato in alto troppo in fretta, ha dimostrato che un partito nato dall’ispirazione cristiana, essenzialmente popolare, democratico, aperto e solidale, quindi cattolico, poteva opporsi con successo ai venditori di fumo, ai populisti della prima e della seconda ora, agli avanguardisti della retorica, ai vecchi e ai nuovi comunisti.

Arrivato al vertice con il consenso di una classe soprattutto giovane e vogliosa di novità – ve lo ricordate? – prese la ramazza e ripulì il ripulibile, ovviamente lasciando sul campo un buon numero di scontenti e di scettici. Poi cambiò il partito e rinnovò le alleanze, vinse con largo margine le elezioni, governò e governando diede fiato alle riforme, alcune davvero strabilianti. A quel punto poteva andare tutto per il meglio (vincere il referendum e dare un volto nuovo all’Italia) o tutto per il peggio (perdere il referendum e fare fagotto). Gli capitò di perdere il referendum (un tanto di spocchia insistita ed esibita trasformò gli amici in nemici procurandogli dissensi interni, che neppure ai tempi delle più marcate correnti democristiane erano così furibondi, sistematicamente accompagnati da zappate-picconate e bastonate brutali sui piedi) e quelli della vecchia guardia prima si fregarono le mani e poi si costruirono il loro partitino scacciapensieri e salva-scranno. Lui medesimo uscì dal seminato e si buttò, forse per disperazione o forse per dimostrare che le idee portate fin lì non erano solo bischerate, in “Italia Viva”, partitino o partitone ancora non è dato sapere.

Però, adesso, la sua tre giorni di Ponte di Legno, col suo carico di ambizioni racchiuse nel tentativo di spiegare ai giovani i valori della politica – partecipazione, confronto, servizio, idealità alte e coraggiose, rispetto, dialogo, ricerca della verità che rende liberi, parole possibilmente non banali e, perché no?, pane e vangelo – potrebbe dare la misura di una novità, per ora in cova sotto la cenere, che all’esistente schema di alleanze litigiose e inconcludenti, vorrebbe sostituire uno schema operativo basato su quel “compromesso storico” che a sua tempo – illo tempore, ormai – aprì le porte a un modo nuovo di governare.

Se le rose coltivate nella scuola di politica organizzata in Valcamonica avranno sortito i boccioli sperati, lo sapremo mercoledì sera, quando Matteo Renzi, invitato da Gianbattista Groli (quello che con ”Castenedolo incontra” ha ridestato il confronto politico e che di sicuro è un intelligente ma sottostimato bischero, per di più ostinatamente innamorato della buona politica) a ricordare insieme ad altri illustri esponenti della politica attuale (la ministra Marta Cartabia e il senatore Pier Ferdinando Casini) Mino Martinazzoli e la sua strenua difesa delle “ragioni della politica” mentre il calendario segna il decimo anniversario della sua morte, magari attingendo lumi dalle righe che evidenziano “il cambiamento impossibile” da lui paventato (che è anche il titolo del volume curato da Annachiara Valle e per l’occasione rimesso in circolo da Rubbettino-Editore) e che caratterizza la “biografia di uno strano democristiano”: Mino, ancora lui, chi altro sennò?.

Nell’attesa di sapere e di pesare i frutti della tre giorni politica di Ponte di Legno. guardo al “confronto politico” che va in scena ogni volta che in qualche sito italico uno o più politici, accompagnati da aspiranti politici e seguiti da sempre meno innamorati delle politica (è accaduto di recente a Rimini con il Meeting promosso da Comunione e Liberazione, avviene a Bologna ma anche a Milano o Torino o dove una festa si colora con le insegne dei partiti, accade a partire da oggi e per tre giorni a Ponte di Legno, perla montana della provincia di Brescia) si ritrovano, chi per declamare la propria esistenza, chi per mettere in ordine le idee e chi, lodevolmente, per seguire lezioni politiche mirate a trasformare il disimpegno in impegno. In realtà (una realtà più amara che dolce) il confronto politico è spesso una di quelle occasioni che capi e capetti di partito usano per imbellettare le loro fragilità. Dicono: discutiamo, mettiamo in chiaro chi siamo e dove vogliamo andare, suscitiamo confronto, alimentiamo dibattito sperando che l’albero messo lì per abbellire la scena dia frutti. Sono frivolezze, ma di queste e di null’altro van fieri.

Resta fuori dal frivolo, anche se il divario va assottigliandosi, l’apporto dei cattolici a questa scena politica. Secondo Giorgio Campanini “l’attuale scenario della politica italiana è caratterizzato, per quanto riguarda i cattolici, da una accentuata dispersione: essi sono, a un tempo, dappertutto (non vi è partito o movimento che manchi della presenza di cattolici), ma anche da nessuna parte. E ciò non solo e non tanto per il venir meno di un esplicito riferimento ai valori evangelici e, specificatamente, alla Dottrina sociale della Chiesa – come era avvenuto negli anni tanto del Partito Popolare quanto della Democrazia Cristiana –, ma anche soprattutto per la inevitabile marginalità di molte di queste presenze”.

Campanini dice anche che “sino all’esplosione della pandemia, questa ricerca di confronto per l’unità – al di là delle inevitabili differenze che caratterizzano ogni formazione politica, nessuna esclusa – era perseguita per vie molto diverse e talora contrapposte: vi era, infatti, chi aspirava la fondazione di un nuovo partito di esplicite ispirazione cattolica; chi teorizzava la necessaria pluralità delle scelte e nello stesso tempo invocava forme di coordinamento di incontro fra i cattolici, indipendentemente dal luogo partitico della loro presenza; chi si rassegnava, o addirittura esplicitamente teorizzava che fosse priva di senso la ricerca di un luogo specifico dei cattolici, essendosi aperto, dopo le innovazioni conciliari, il vasto mondo delle libere e responsabili opzioni di carattere personale, del tutto prescindendo – in nome della legittima autonomia dei credenti in campi opinabili – da specifiche appartenenze”.

Ora, passata la bufera, sarà il caso di riprendere questi discorsi per farne soggetto e progetto di un procedere che consenta di rimettere la buona politica, quella fatta di servizio, di condivisione, di accoglienza e di cattolicità (che significa essere attivamente presenti nella storia per dare il proprio efficace contributo alla vita della Città degli uomini) al centro dell’attenzione. Il Meeting di Rimini, pur mettendolo tra le intenzioni, non lo ha fatto. Potrebbe farlo la scuola di formazione politica che Matteo Renzi inaugura oggi a Ponte di Legno? Chissà! Però, se capitasse, sarò lieto di raccontarvelo.

LUCIANO COSTA

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