Ho ascoltato il discorso del Presidente del Consiglio al Parlamento e al Paese; del discorso ho contato parole, pensieri, applausi e mugugni, annotato il detto e il contraddetto, sottolineato silenzi, sottintesi, rimandi, punture, pugnalate, invocazioni e annunci di altri faremo insieme, insieme vedremo, insieme procederemo… Ho ascoltato e mi sono convinto che non aveva detto niente di nuovo. Insomma, Conte era lo stesso di prima, di ieri, dell’altro ieri e dei giorni precedenti: l’avvocato prestato alla politica, l’incompreso dal popolo sebbene si fosse dichiarato avvocato del popolo, l’uomo che esamina-disamina-legge-rilegge-chiosa-amplia-sentenzia su tutto e su tutti, il presidente che della politica che pure sorregge il suo scranno si ricorda solo alla fine, il capo di governo che pronuncia discorsi pieni di abbiamo fatto e di faremo ma vuoti di Politica (questa volta con l’iniziale maiuscola per non confonderla con gli esercizi in vista e in voga).
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte mi ha deluso quando speravo in un suo volo più alto, un volo capace di disegnare percorsi da condividere perché finalmente chiari, spogliati da se e ma, solo orientati alla conquista di quel bene comune che è la somma di sì ben detti e ben giustificati ma mai di no gridati e rivendicati come punizione verso chi, magari con inusitata forza, stava provando a spostare l’asticella dall’ovvio (accomodamenti e limature del disegno europeo per la ripartizione dei fondi anti-pandemia) all’impegnativo (modalità di spesa dei fondi con l’accettazione di altri fiondi destinati alla salute dei cittadini).
Conte mi ha confuso quando, evitando riferimenti diretti, ha comunque definito irresponsabili e incoerenti quelli che lo avevano sollecitato ad allargare l’orizzonte per dire chiaramente “sì, sì” oppure “no, no” all’utilizzo dei fondi salva-stati e alla delega ad altri dei servizi segreti. Conte mi ha ingarbugliato i pensieri quando ha riconosciuto al sindacato il ruolo di sostenitore delle sue politiche e non quello di pungolo a fare meglio e presto il bene dei lavoratori rappresentati. Conte mi ha scombussolato trasformando il sostantivo “aiuto” nell’imperativo “aiutateci” supponendo che il dovere di aiutare diventasse un obbligo ad aiutare un soggetto definito, cioè lui e l’incarico che riveste.
Conte mi ha così confermato che “Ragioni della Politica” per le quali tanti hanno consumato anni e idee, dalle sue parti hanno ben poche “ragioni” da rivendicare. Poi, senza volerlo, Conte mi ha anche mostrato la parte meno visibile del suo pensare, quella che al rivale (in politica, ovviamente) riserva non lo spazio per dialogare e così mostrargli il suo supposto valore, ma l’esecrazione, il bando, l’allontanamento, la gogna….
Mi sono allora ricordato l’appello ai «costruttori» pronunciato da Sergio Mattarella la sera del 31 dicembre, e da lui usato per definire quei cittadini che non hanno perso il “vizio” di cercare e realizzare il bene anche nei momenti più difficili, ma anche il cattivo uso che i politici ne stavano facendo dimenticando che soprattutto in chiave politica, al termine «costruttori» doveva essere assegnato un significato nobile e alto.
Marco Iasevoli, su “Avvenire”, ha scritto ieri che “con un’operazione di comunicazione politica e di malizia mediatica – un po’ abile, molto spregiudicata e per nulla condivisibile – il significato più autentico della parola «costruttori» è stato però storpiato per mettere un vestito elegante a pratiche e speculazioni legittime, ma non così “alte”. E così ci troviamo pagine e pagine di cronache in cui il mattarelliano «costruttori» viene strumentalizzato per dare un nuovo nome a chi un tempo sarebbe stato definito «trasformista» e «transfuga», se non, con punte di violenza, «opportunista» o «venduto». Un abuso linguistico che ora porta a inglobare nelle tifoserie politiche anche chi richiama il senso nudo e puro delle parole del capo dello Stato. Già un’altra parola importante del vocabolario, «responsabili» – aggiunge il notista -, è stata così storpiata da diventare quasi impronunciabile in politica (ma non per noi). Il sogno di un’Italia di «costruttori» e di «responsabili» merita di essere tutelato. Un nome più adeguato e meno storpiato, a chi oggi ragiona su un ingresso in maggioranza, lo si potrà ben trovare. Alleati, per esempio. O puntelli”.
Letti all’alba di oggi i titoli dei principali quotidiani ho trovato conferma ai miei perché e ai miei però. Riassunti, i titoli dicono: “Conte alla sfida” (Corriere della Sera), “Aiutateci” (La Stampa), “Fiducia fragile” (La Repubblica), “Scontro finale” (Il Sole 24 Ore), “Conte chiede stampelle” (Libero), “Conte chiede aiuto” (Il Fatto quotidiano”, “Buona la prima” (Il Manifesto), “Conte ha un piano contro IV” (Il Foglio), “Voto di scambio” (Il Giornale), “Maggioranza debole” (Il Messaggero), (Volenteroso primo sì” (Avvenire).
Tutto il resto è noia.
Per la cronaca, ieri sera la Camera ha concesso la fiducia; il Senato lo farà, se lo farà, oggi.
E sarà ancora noia.
Perché niente lascia intravedere che ai mezzucci di dozzina si sostituiscano argomenti e valori degni d’essere confezionati e regalati a figli e nipoti che sperano in un futuro degno d’essere vissuto e condiviso.
Poco dopo l’alba il web ha sputato la sua prima, allegra e forbita sentenza. Quei zuzzurelloni di “bastardi dentro” hanno infatti pubblicato una vignetta nella quale si vedono una mucca e un asino che amabilmente si osservano e dialogano. In quel bel quadretto la mucca dice all’asino: “voglio andare in India, così sarò sacra” e l’asino le risponde: “io resto in Italia, così sarò un politico”.
Non so e non voglio saperlo a quali politici si riferisce l’asino.
Fate voi.
LUCIANO COSTA