Il Pd – quello dei militanti e degli elettori, soprattutto – ha accolto Enrico Letta con una dura consapevo-lezza: l’ex premier o sarà il primo segretario di un partito radicalmente nuovo o sarà il commissario liquidatore di un esperimento politico rimasto sempre a un metro dal suo compimento, dalla ‘sintesi’ tra sinistra di governo e cattolicesimo democratico. Una sintesi che Letta porta dentro di sé e ha più volte messo in pratica nell’azione politica e di governo, ma che ormai deve diventare stile e anima condivisa entro pochi mesi, pena una nuova e definitiva scissione.
Su questa premessa Letta si è fatto forza per chiedere un mandato senza riserve e, soprattutto, un cammino senza trappole. Il nuovo segretario dem, con un esercizio di ‘ascesi’ non indifferente considerando che si è impegnato a salvare dal fallimento anche diversi dirigenti che gli voltarono le spalle nel tumultuoso gennaio 2014, è ben consapevole che non lo aspetta una cavalcata trionfale. Ma fin qui ha mostrato il piglio di chi se la vuole giocare fino in fondo: se non ce la farà, sarà uno dei pochi ad averci provato davvero e sinceramente; se ce la farà, riproporrà con forza non solo il ruolo del Pd nel centrosinistra, ma anche la propria leadership sullo scenario nazionale ed europeo. Archiviato l’autoesilio seguito alla scalata di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, Enrico Letta si propone senza mostrare rancori ma come uno che ‘un lavoro ce l’ha’, secondo la buona lezione dei padri del cattolicesimo popolare, per cui innanzitutto si è uomini e donne formati e autonomi, e poi ci si spende, per vocazione e non in eterno, sulla scena pubblica.
È il primo discreto ma importante aspetto rispetto ai capicorrente che hanno cercato in lui la toppa al buco. Ma il secondo iato è più profondo: l’urgenza, segnalata da Letta, di dare subito una fisionomia e una identità programmatica al suo Pd, una chiara riconoscibilità del partito dentro la maxi-coalizione a sostegno di Mario Draghi. Le due proposte-chiave, il voto ai 16enni e lo ius soli/ius culturae, rispondono a un bisogno di identità. Un’identità che Letta ha voluto declinare al futuro, prestando subito il fianco alle critiche della destra di Salvini e Meloni.
Ma mettendo queste due proposte sul tavolo, ha tracciato una linea anche rispetto a M5s. Letta vede nel Movimento di Giuseppe Conte un alleato naturale, ma pur sempre un’alleanza tra diversi. Inoltre i due temi – che sono, per chi conosce l’ex premier, profondamente ‘lettiani’ – sono anche il primo filo di cotone per provare a ricomporre la diaspora del centrosinistra in molteplici rivoli. D’altra parte Letta ha lasciato il campo della politica prima delle varie scissioni nel Pd, ha quindi il ‘curriculum’ per provare a riavvolgere il nastro. Certo oggettivamente nuova legge della cittadinanza e voto ai sedicenni non sono ora in cima all’agenda del Parlamento. Lanciarli nel dibattito è un gesto di coraggio, ma anche un segno dell’imbarazzo con cui il Pd ha vissuto il passaggio dal Conte 2 al governo Draghi e dell’imbarazzo residuo con cui ne accompagna l’azione. Letta è, se così si può dire, equi-vicino all’ex premier e all’attuale inquilino di Palazzo Chigi, non è impegnato nella guerra tattica ma sanguinosa tra chi sceglie l’uno e chi sceglie l’altro e potrà e dovrà concentrarsi strategicamente su come avvicinare i dem ai problemi reali del Paese. Memore anche di quell’eccesso di attendismo e prudenza istituzionale che fu la concausa della fine del suo governo, il nuovo segretario del Pd ha mostrato infine di non voler adeguare la politica a esigenze contingenti.
Da un lato, il rilancio del sistema elettorale Mattarellum e quindi di una logica di coalizione e maggioritaria, riaprendo i giochi rispetto a quella che sembrava l’ineluttabile corsa verso il proporzionale. Dall’altro, un’azione sulla forma-partito: ‘dall’alto’, con la proposta di norme ‘anti-trasformismo’ nei Regolamenti parlamentari e con l’attuazione dell’articolo 49 della Carta; ‘dal basso’, con l’apertura del Pd alle realtà civiche, politiche e territoriali che hanno dovuto mettersi in proprio a fronte di un partito inospitale e autoreferenziale (un fenomeno di cui le Sardine sono solo la punta dell’iceberg).
Il correntismo che Letta, da “già correntista”, ha denunciato in modo molto duro, va superato soprattutto favorendo l’ingresso di forze nuove e fresche, che coincide giocoforza con la ‘panchina’ per forze invece troppo logorate – nei territori come al centro – dalla pratica con il potere. E questa sarà la sfida più dura, sulla quale il nuovo segretario dovrà mettere la faccia subito, a partire dalle imminenti amministrative di Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino e Trieste.
Poi, se son rose le vedremo e le valuteremo.
Marco Iasevoli