Alla vigilia dell’insediamento (significa prendere possesso dello scranno, della sedia, dello sgabello o di qualunque altra cosa necessaria per accomodarsi) del nuovo Parlamento (luogo per deputato al parlare delle cose che riguardano la Nazione, per fare leggi, per decidere quel che serve o servirebbe al bene comune) rileggo con interesse i dati elettorali emersi dalle elezioni politiche. Rileggo e mi assale il dubbio che pongano, al di là di chi ha vinto o di chi ha perso, una questione d’identità che difficilmente può essere casuale. Dicono infatti i dati che noi, italiani bella gente, abbiamo votato dando un colpo alla botte e un altro al cerchio, vogliosi di dare calci al passato e carezze al trapassato, ma anche di tenere insieme la botte, che non si sa mai come sia il futuro.
Domani, 13 ottobre 2022, vedremo le schiere degli eletti (però la metà esatta delle solite volte grazie alla riforma voluta per semplificare e risparmiare) entrare in Parlamento con la bisaccia piena di sogni (progetti avveniristici, leggi nuove e buone, parole pensate, pensieri orientati, mani pronte a schiacciare i pulsanti del sì e del no, magari anche buoni per immaginarsi già investiti di chissà quali roboanti incarichi, di governo o di sottogoverno poco importa) e di paure (di essere un numero piuttosto che una persona lì per rappresentare una parte di popolo; di essere comunque precario, cioè pro-tempore; di essere espressione di libertà e di democrazia, beni assoluti di cui però non è certo di poter disporre secondo la sua coscienza o per ubbidienza al volere del partito che l’ha scelto, anche di essere inghiottito da Roma e sottratto ai suoi luoghi natii e amati…). “Importante è incominciare bene” dicono spettatori e commentatori. Bello, ma qualcuno sa anche come fare?
Chi domani avrà le redini del comando ha annunciato “un governo di buonissime intenzioni, nuovo e rispettoso del buono ricevuto in eredità…”. In verità, avendo visto passare diecine di governi e aver sentito ripetere da tutti il medesimo ritornello, dubito che questo nuovo governo arrivi bell’e pronto per miracolo mostrare… Sottraendosi per esempio alle richieste messe in evidenza da un’Italia del nord assopita nel suo benessere ma scontenta di essere la maggiore contribuente, da quell’altra Italia di centro che rivendica privilegi e comprensione al di sopra della media e da un’Italia del sud che piange e ripiange la sua condizione accontentandosi (salvo eccezioni, che ci sono, che sono tante e lodevoli) però di quel che passa il convento (per esempio di quel reddito di cittadinanza diventato la cura ma non il rimedio dei mali di cui soffre).
Una volta si sottolineava la tipicità del nord – mai domo, mai prono, mai allineato ai potenti – capace di elaborare politiche d’avanguardia, di essere guida; adesso si dice che quello stesso nord vacilla, non tiene (elettoralmente parlando), si consegna facilmente alla protesta becera e anche rozza. In questo modo la leadership nordista non si riconosce, è qualcosa che non c’è più, che forse è naufragata in un mare di parole spesso manipolate o malamente trasmesse. Sempre una volta, era poi severo il giudizio sul centro arroccato attorno a Roma capitale e lacrimevole quello riservato al sud, bello, intelligente, colto e anche terribilmente questuante…
I dati elettorali, lo sapete, hanno premiato il centro-destra e messo tutto il resto ai margini. Lasciamolo lavorare questo nuovo che ha demolito il vecchio! Lo vuole la democrazia, lo esigono le crisi che ci sono e che incombono, lo impone l’Europa di cui siamo parte attiva e importante, lo chiede il mondo che guarda alla nostra Italia come si guarda a un bene irrinunciabile. Per la verità mi è difficile capire come sia possibile chiedere a Giorgia Meloni, capa indiscussa di Fratelli d’Italia, il partito che ha vinto le elezioni, di fare oggi tutto e subito quel che ha promesso insieme ai suoi loquaci alleati (Salvini il perdente e Berlusconi il riesumato ago della bilancia di craxiana memoria) e non solo per manifeste rissosità e divergenti opinioni dei suoi, ma anche per certune posizioni storiche e politiche non ancora chiarite.
Un’altra questione che non mi è chiara (forse perché talmente sottintesa da non apparire neppure, almeno in questa fase) è quella del come, e in quali termini, Giorgia Meloni potrà mantenere le redini di una maggioranza pronta ad azzannarsi sulle briciole (domani, con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, cominceremo a capire da che parte tira il vento) piuttosto che a conservare la sostanza del patrimonio accumulato in quasi ottant’anni di democrazia.
Certo, quel che i dati elettorali dicono non può essere disgiunto dai personaggi che le incarnano e che, si presume, le abbiano rese vincenti. Nella tornata elettorale messa all’archivio e che ha consegnato l’Italia alla destra (o al centro-destra a trazione destrorsa, se preferite) sono mancati i personaggi vincenti (Giorgia Meloni era un’incognita, Enrico Letta un illuso amante di cose e idee buone per dare fiato agli intellettualismi ma assai meno per riunire le masse, Giuseppe Conte un reduce travestito da partigiano sudista, Calenda e Renzi un’accoppiata politicamente avanzata ma forse per questo assai poco amata…). Certamente, vista oggi, con dati alla mano la presenza di personaggi autorevoli poteva indurre anche i “soliti attendisti” (tra i quali brillano, ancora una volta, tanti cattolici) ad uscire allo scoperto e così delineare strategie e volontà in vista della inevitabile resa dei conti con i soliti competitori. Invece, pur essendo in tanti casi evidenti e consolidati i meriti del “buon governo che fu” (spesso targato Centro Sinistra), una dose massiccia di veleni sparati nell’etere e nelle piazze, ha capovolto situazioni e ridato fiato a tanti venditori di fumo.
In attesa di verificare quel che succederà domani (però se penso a La Russa o Calderoli in procinto di competere per la presidenza del Senato e alla ressa di pretendenti alle altre poltrone, mi vengono le vertigini) resto testardo nella puntigliosa riproposizione di quella appartenenza al mondo cattolico (in campagna elettorale si son sentite affermazioni perentorie di fedeltà all’idea cristiana, alla Chiesa, al papa e, di conseguenza, all’intero mondo che li circonda) che si specchia in poche ma incisive priorità: l’autonomia culturale, il radicamento sociale, la solidarietà, il servizio, l’assistenza, il non lasciare indietro nessuno, il riconoscere dignità e pari opportunità a chiunque e, ultima ma non meno importante, la rappresentanza politica e concreta della tradizione cattolico democratica.
Ritengo questa “testardaggine” (forse ancorata a un passato disegnato da grandi interpreti della politica di servizio – Sturzo, De Gasperi, Moro, Zaccagnini, Martinazzoli e chissà quanti altri… -, un merito piuttosto che un peso. Soprattutto perché nell’idea riassunta dalla “puntigliosa riproposizione” di idee e virtù interpretate, ieri in maniera puntigliosa oggi in maniera assai blanda, da “cristiani prestati alla politica” stanno le ragioni che obbligano (e obbligherebbero, in verità) i cattolici a fare politica e a stare nella politica. Non credo, sia chiaro, alla possibilità di riunire i cattolici nuovamente sotto un’unica bandiera; mi piacerebbero, però, comportamenti omogenei, tali da impedire a chiunque – destra, centro o sinistra che sia – di sentirli propri e, quindi, di rivendicarne il copyright. In attesa di leggere eventuali opinioni mi permetto di raccomandare ai plaudenti impegnati nell’esternare soddisfazione per la vittoria elettorale che li ha elevati al potere, una virtuosa moderazione. Si vince, ma, vivaddio, quando mai un quarto del totale può rappresentare il tutto?
Più che di proclami e di grida, adesso c’è bisogno urgente di governanti consapevoli del peso che si sono messi sulle spalle e motivati a fare quel che serve al bene comune. Perché questo sia il modo di procedere c’è bisogno di politica vera e, quindi, mai gridata. C’è anche bisogno di moderazione dei gesti e delle parole, di identità forte, di centralità del sistema delle autonomie locali, di Governo discreto nelle forme e forte nelle scelte riformatrici. C’è bisogno, adesso, di una nuova stagione in cui diritti e doveri di ciascun abitante, di qualunque provenienza e al di là del colore della sua pelle, siano coniugabili secondo giustizia ed equità.
Già da domani vedremo… Ovviamente se vorremo vedere.
LUCIANO COSTA