Il principe dei celoduristi ha perso la trebisonda e s’è messo a babbiare, a balabià se preferite, mettendo così bene in vista quel che è, è stato e sarà: un balabiòt. Senza offesa, naturalmente e senza la pretesa di far giungere la considerazione a un indirizzo preciso, soprattutto perché di principi dei celoduristi o presunti tali ve ne sono qui e là, insomma più di uno. Uno di questi, a caso, per rendere strabiliante-unica-memorabile-esilarante e preoccupante la sua campagna elettorale ha messo in fila una serie di “credo” definendoli “laici”, rigorosamente “laici” pur sapendo, almeno se sono vere le estasi religiose (rosario tra le mani, immagini sacre a far da sfondo alle mai occasionali esibizioni, professioni di fede e di fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Papa…) da lui esibite e messe in bella vista, che appropriarsi del termine era politicamente scorretto, socialmente discutibile e cattolicamente deplorevole. Se il principe voleva stupire ce l’ha fatta; se voleva dare una lezione al “branco di politici suoi pari, ma senz’anima” pure. Però, che pena! Certo, vedere la parola credo sui manifesti elettorali è certamente singolare e interessante. E non è neppure difficile pensare che dietro la scelta di un leader politico attento agli umori dei molti vi sia un’accurata indagine sul sentire del popolo elettore. “Anche per questo – ha scritto Giuseppe Lorizio su “Avvenire” – non possiamo non interrogarci sul senso del credere e della sua semantica nell’oggi della storia”.
Nel linguaggio diffuso può sembrare che, se qualcuno afferma di credere in qualcosa, in fondo stia semplicemente esprimendo la propria opinione sul tema. Ma è proprio così semplice passare dall’impressione all’abuso? Gianni Vattimo racconta che interpellato da Gustavo Bontadini, il quale gli chiedeva se credesse, rispose immediatamente e semplicemente “credo di credere”. Allora, argomenta Lorizio “ci chiediamo: quella che segue il verbo alla prima persona è una filastrocca di opinioni, che attendono di essere vagliate nel confronto pubblico e nel dialogo politico? Oppure si tratta di una professione di fede in senso squisitamente teologico?
Nel testo diffuso dal principe dei celoduristi e presentato come manifesto della sua campagna elettorale si afferma che si tratta di una “fede laica”, ma anche in questo caso si può evocare il senso del “credere” non come semplice opinione, ma come adesione certa e assoluta a una serie di verità o princìpi o valori. Ed è qui il punto cruciale. “Se quando dico credo – spiega l’editorialista del quotidiano cattolico – intendo un affidamento incondizionato, allora la domanda diventa: in chi o in che cosa credo? La fede biblica, e in particolare neo-testamentaria, rivolge la propria adesione non a una cosa, come una serie di progetti e intenzioni, princìpi e valori, ma a un Chi. Si tratta di un rapporto interpersonale: io-tu. E per il credente cristiano si tratta del proprio rapporto con Gesù di Nazareth. Per questo possiamo parlare di un credere forte e di un credere debole”.
Diventa così interessante pensare, anche in questo problematico contesto socio-politico, che la fede in senso forte può essere indirizzata solo a una persona (per chi crede e si professa cristiano a Dio) mentre la fede in senso debole (ossia come opinione) può rivolgersi anche a delle tesi, a dei programmi a delle scelte occasionali e politiche. Quindi, si può dedurre che “se un leader politico sostiene sul verbo credere una serie di opinioni proprie e della sua parte, la sfida si esprime in termini di un rapporto-dibattito razionale su quelle scelte nel contesto in cui esse si propongono”. E qui entra in campo la “ragione storica e politica”, che tutti siamo chiamati ad esercitare, onde configurare la nostra opinione in rapporto alle prossime elezioni. Pertanto, “non si può in alcun modo intendere un credo politico in senso religioso o cristiano”. Quello, infatti, è configurabile soltanto nell’atto di fede, che sempre e comunque usa il verbo credere riferito, “in senso forte e cristiano”, alla persona di Gesù e “in senso debole e laico” a quello per cui un soggetto gioca la propria esistenza nell’impegno intra-mondano e sociale.
Confondere i due ambiti può risultare estremamente pericoloso e fuorviante. Ragion per cui, per evitare ogni possibile deriva populista, sarà bene che, mentre leggiamo sulle facciate delle nostre città la parola “credo”, cerchiamo di distinguere i diversi significati e le diverse condizioni che questo verbo propone. Poi, se possibile, nessuno faccia il furbo immaginando che solo la furbizia gli regalerà una manciata in più di voti.
LUCIANO COSTA