L’uomo sul filo ce l’ha fatta. Nonostante la buriana, il temporale, le paure e gli inviti ad abbandonare l’impresa, appellandosi al mestiere e ai suoi santi protettori, ha attraversato la piazza camminando sul filo e ha raggiunto il balcone dell’ufficio lasciato vacante in attesa di sapere se fosse sopravvissuto alla prova lanciata temerariamente ad amici e nemici. Gli è servita quasi una giornata intera per accomodarsi il ciuffo, mettersi le scarpette adatte, vestire la tunica e incamminarsi sul filo cercando di non perdere i preziosi fogli sui quali aveva scritto i progetti da portare a compimento in caso di vittoria ma anche il saluto senza arrivederci in caso di fallimento.
Alle 9 della sera tutto era compiuto. E dal basso, dalla piazza ormai deserta – erano rimasti in otto attorno al lampione ma quando si trattò di applaudire, un calo di luce improvviso li costrinse ad uscire dalla scena – si sentì soltanto il fotografo mormorare contro il destino crudele e avaro per avergli impedito l’ultimo prezioso scatto, quello che qualsiasi giornale avrebbe volentieri acquistato.
Favola a parte, è andata come era sperabile andasse: salvi il Governo e il Presidente del Consiglio, salvata la maggioranza e impedita, almeno per il momento, la brutta figuraccia che avremmo dovuto sopportare davanti agli occhi dell’Europa. Poi, domani, si vedrà. Infatti, il bello di questa nostra Italia è l’incertezza, un mondo fatto apposto per consentire ai belli, ai brutti, ai buoni e ai cattivi di fluttuare liberi e giocondi, pronti a vestire i panni austeri della politica seria ma anche quelli dei giullari destinati a far ridere la platea.
In un panorama siffatto, prima o poi accadrà quel che mille e mille anni fa interessò il regno degli uccelli, ai quali un buon dio qualsiasi aveva donato piume dai mille colori e canto melodioso, a tutti tranne che all’usignolo. Voi capite che non era un bel vivere quello del povero uccellino rimasto muto e solo, così un buon angelo di passaggio, visto nel cielo un grande bagliore di luce, arrivò in suo soccorso. Lo prese e lo accompagnò in una grotta dove c’era un bambino avvolto in fasce e scaldato da un bue e un asinello. Il brutto uccellino senza voce per cantare gli volò vicino attratto dalla sua bellezza. Il bimbo gli sorrise e l’uccellino cominciò a cantare con una voce straordinaria e tutt’intorno si fece silenzio. Fu così che, grazie al bambinello a cui i genitori avevano dato il nome di Gesù, l’usignolo ebbe il dono del canto più dolce di tutto il creato.
Da allora, la tradizione racconta che di uccellini senza voce diventati improvvisamente canterini melodiosi se ne sono visti parecchi. Giuseppe Conte, l’uomo sul filo, è uno di questi. Ieri ha sfidato le leggi della gravità, ha cantato melodie, ha ricevuto sufficienti applausi per passare indenne tra le trappole tese dai soliti uccellatori; oggi volerà in Europa per ripetere la medesima canzone. Che Dio gliela mandi buona e, magari, la mandi buona anche a noi. E’ una speranza, risolvibile soltanto ricorrendo alla metafora dell’ombra riflessa in uno specchio. Infatti, se ci si mette davanti a uno specchio, appare l’immagine riflessa, ma appena ci si sposta l’immagine scompare e lo specchio ritorna immacolato. Insomma, l’immagine (come la speranza) c’è, ma può anche dissolversi se chi sta davanti allo specchio decide di allontanarsi.
LUCIANO COSTA