Politica

Silenzio, parla Dostoevskij

Il buon consiglio rivolto alla politica, ai politicanti, ai raccontatori di politica e di politicanti, che prevedeva un certo periodo di silenzio e di nascondimento dagli scenari mediati, non è stato raccolto. Era ovvio accadesse, non era ovvio fosse disatteso senza neppure tentare di ragionarci intorno, magari per scoprire che aveva qualche ragione da vendere. E così, quel consiglio lo faccio mio e per un certo numero di ore – almeno quarantotto – metto da parte la politica, i politicanti e tutte le manfrine spigionate dentro, sopra e sotto la crisi di governo. Facciano quel che credono, li aspetterò, li aspetteremo e poi, semmai, giudicherò, giudicheremo. O, forse, non lo faremo. Infatti, chi siano noi per giudicare quel che lor signori hanno pensato-fatto-proposto-cambiato-surrogato-argomentato-scritto-cancellato-rifatto e magari anche pattuito?

Ammesso che “al peggio non vi è mai fine”” resta la speranza che qualcosa di meglio, o di meno peggio di quel che il mercato ha fin qui proposto, possa esserci. Nell’attesa, avendo scoperto che di un certo Dostoevskij, amato e odiato autore di epici romanzi – “Delitto e castigo”, uno, così, per fare un esempio – si ricordano quest’anno i duecento anni dalla nascita (Mosca 11 novembre 1821) e centoquaranta dalla morte (San Pietroburgo 9 febbraio 1881) vi propongo la lettura di un brano, opportunamente condensato e anche mirabilmente commentato da Adriano Dell’Asta, che se non fosse per la data sembrerebbe fatto apposto per adesso, cioè per un tempo di crisi, e non solo politica.

Quello che Dell’Asta propone di leggere non è il brano di una cronaca romanzata di quanto sta accadendo in questi giorni, con la pandemia e lo sconcerto per le mille interpretazioni delle sue cause e le mille controversie sulle misure con le quali contrastarla. E non è neppure una descrizione esasperata della recente crisi politica. E’ il sogno del protagonista del romanzo, che come tutti i sogni anticipa la realtà…

Una pestilenza terribile…

“Tutto il mondo era condannato a rimanere vittima di una pestilenza terribile (…) erano comparse certe trichine sconosciute, esseri microscopici che si infiltravano nel corpo umano. Ma questi esseri erano spiriti, dotati di intelligenza e di volontà. Gli uomini che li lasciavano penetrare nel loro corpo diventavano subito indemoniati e pazzi. Mai, mai, però, gli uomini si erano ritenuti così intelligenti e così sicuri della verità, come si ritenevano quegli appestati. Mai avevano ritenuto più sicuri i loro giudizi, le loro deduzioni scientifiche, le loro convinzioni e credenze morali (…). Tutti erano in agitazione, non si capivano più fra loro, ognuno pensava di essere il solo a possedere la verità e si tormentava (…). Non sapevano chi e come giudicare, non riuscivano a mettersi d’accordo nel giudicare il bene e il male (…). Si preparavano a marciare gli uni contro gli altri con intere armate, ma queste armate, quando erano già in marcia, a un tratto cominciavano a dilaniarsi per conto loro, le file si scompaginavano, i combattenti si scagliavano l’uno contro l’altro, si infilzavano, si sgozzavano, si mordevano e si divoravano fra loro (…). Avevano abbandonato i mestieri più comuni, perché ognuno proponeva le sue idee, le sue innovazioni, e non riuscivano mai a mettersi d’accordo, l’agricoltura era ferma (…). Cominciarono a scoppiare molti incendi, cominciò la carestia. Tutto e tutti perivano. In tutto il mondo potevano salvarsi solo pochi uomini, i puri e gli eletti, che erano predestinati a iniziare una nuova razza umana e una vita nuova, a rinnovare e purificare la terra; ma nessuno aveva mai veduto questi uomini, nessuno aveva mai udito la loro voce e la loro parola”.

Quello appena letto è il sogno finale di Raskol’nikov, il giovane protagonista di Delitto e castigo e dunque quanto viene immaginato nel romanzo è lontanissimo dalla realtà che stiamo vivendo: a dispetto di tanto complottismo e di ogni possibile esacerbazione della lotta politica, infatti, non ci sono Raskol’nikov dietro il virus e dietro le divisioni della nostra vita politica. “Eppure – scrive Dell’Asta e non vedo come non si possa essere d’accordo con lui -, nonostante questa certezza, resta sempre nei nostri occhi l’immagine di questa divisione che in nome della pretesa di possedere la verità si trasforma in odio per l’altro; nessuno ci toglie dalla testa quest’immagine di un’astrazione, con la promessa di un mondo migliore che però non appare mai concretamente da nessuna parte, così che nessuno più capisce quello che sta accadendo e il suo senso: i consueti criteri di giudizio vanno persi o non hanno più valore”.

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