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Due fatti “significativi”

Due fatti, uno distante dall’altro, entrambi “almeno” significativi se visti alla luce degli sforzi compiuti e da compiere per scrivere finalmente la parola Pace nel gran quaderno delle cronache mondiali. Eccoli i due fatti: papa Francesco va domani in Ungheria, nazione a ridosso della martoriata Ucraina, e porta con sé non solo la voglia di incontrare il suo popolo ma anche quella di inventare percorsi di pace percorribili subito se e il suo sforzo troverà valenti collaboratori e ascoltatori; ieri per la prima volta i presidenti di Ucraina e Cina (un nazione invasa, l’altra superpotenza che di sicuro e volendo potrebbe indurre la Russia a chiudere con la guerra e ad aprire alla pace) si sono parlati al telefono per quasi due ore gettando un seme di pace tutto da scoprire e soprattutto da coltivare.

PER FRANCESCO, quello in Ungheria è il 41mo viaggio pastorale internazionale e il 106mo ordinario dei suoi dieci anni di Pontificato. Questo viaggio (da domani a domenica) lo porterà nel cuore di un’Europa “sulla quale – ha detto lui stesso – continuano ad abbattersi gelidi venti di guerra” mentre “gli spostamenti di tante persone pongono all’ordine del giorno questioni umanitarie urgenti”. Nei tre giorni in cui sarà a Budapest, “città di ponti” che ha conosciuto guerre e occupazioni, distruzioni e ricostruzioni, divisioni e riunificazioni, e che dal 24 febbraio 2022 vede un flusso ininterrotto di profughi dall’Ucraina, Papa Francesco incontrerà le autorità civili e politiche, tra le quali la presidente Katalin Novak e il primo ministro Viktor Orbán, vescovi e cardinali, profughi e rifugiati (tra cui diversi ucraini), giovani, bambini malati, esponenti del mondo della scienza e della cultura. Nel programma anche l’incontro con la numerosa comunità greco-cattolica del Paese, della quale alcuni rappresentanti offriranno la loro testimonianza durante i vari appuntamenti. I sei discorsi del Papa, tutti in italiano, toccheranno i temi dell’unità dell’Europa, il futuro dei giovani, il dialogo ecumenico, l’incoraggiamento a una Chiesa che ha vissuto epoche di persecuzione e, naturalmente, il dramma della guerra e l’appello di pace, in una nazione che con l’Ucraina martoriata condivide 135 km di confine. Una stretta lingua di terra che rappresenta la via di fuga per molti sfollati, che arrivano in Ungheria con pullman, treni o in macchina dopo code chilometriche, attraversando il Paese come luogo di transito per poi trasferirsi in Germania, Olanda, Italia e altre nazioni.

PER LA CINA la telefonata con il premier Ucraino, definita “significativa”, potrebbe essere l’occasione per diventare mediatrice e propositrice della pace tanto attesa. Certo, non ha parlato mai di guerra, sempre e solo di “crisi” ucraina, il presidente cinese che per la prima volta ha sentito il presidente ucraino. La telefonata, ha spiegato Pechino, è avvenuta per iniziativa di Kiev, ma la Cina “si è sempre schierata dalla parte della pace e la sua posizione centrale è quella di promuovere la pace e i colloqui”. Su questa base, Pechino ha richiamato il documento “La posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”, rimarcando che “la Cina non è né l’artefice né la parte coinvolta nella crisi ucraina”. Tuttavia, “in qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu e di grande Paese responsabile – ha aggiunto il portavoce -, non guarderemo il fuoco dall’altra parte, né aggiungeremo benzina al fuoco e useremo la crisi come opportunità per trarne profitto”. Insomma, se così andranno le cose, la Cina “persisterà nel persuadere la pace e promuovere i colloqui e farà i propri sforzi per fermare la guerra, cessare il fuoco e ripristinare la pace prima possibile”, inviando anche “un rappresentante speciale del governo cinese per gli affari eurasiatici in visita in Ucraina e in altri Paesi per condurre una comunicazione approfondita con tutte le parti sulla soluzione politica della crisi ucraina”. Mettendo bene in chiaro che “non ci sono vincitori né vinti in una guerra nucleare”, Xi ha indicato a Zelensky “il dialogo e la negoziazione” come “l’unica via d’uscita praticabile”. Nell’affrontare la questione nucleare, ha detto, “tutte le parti interessate dovrebbero rimanere calme e sobrie, concentrarsi veramente sul futuro e sul destino di se stesse e di tutta l’umanità, e gestire e controllare congiuntamente la crisi”. La volontà della Cina di sviluppare i legami bilaterali “è coerente e chiara: indipendentemente da come cambia la situazione internazionale, la Cina è disposta a collaborare con l’Ucraina per promuovere la cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra i due Paesi”. Zelensky ha accolto con favore l’importante ruolo della Cina nel ripristinare la pace e risolvere la crisi attraverso mezzi diplomatici e ha definito il colloquio telefonico “significativo”.

Al timido accenno di pace ha però fatto riscontro ieri un fatto che tocca da  vicino l’Italia e il mondo dell’informazione. Infatti, ecco il testo della nota diffusa per commentare questo fatto: “A seguito di un attacco di artiglieria su Stanislav, un uomo di 26 anni è rimasto ferito. I russi hanno sparato anche nell’area del ponte Antonivsky, a seguito del quale è rimasto ferito un rappresentante della stampa straniera”. Così il capo di gabinetto del presidente ucraino ha fornito dettagli sul ferimento del giornalista di Repubblica Corrado Zunino. Il reporter italiano, riporta Ukrainska Pravda, è stato assistito e ricoverato nell’ospedale della città di Kherson con una ferita alla spalla. E’ rimasto ucciso il suo collaboratore ucraino Bogdan Bitik. Entrambi indossavano il giubbotto con la scritta “Press” che li identificava come giornalisti. Secondo quanto scrive Repubblica, sarebbero stati colti da un agguato di cecchini. “In viaggio da Kherson verso Odessa. Sto bene, ho una ferita alla spalla destra, sfiorata dal proiettile che ha centrato il mio grande amico Bogdan. Credo sia morto, all’inizio del Ponte di Kherson. Un dolore infinito. Avevo il giubbotto con la scritta Press” ha scritto il giornalista Corrado Zunino.

Purtroppo, la guerra continua. Dire che è tempo di pace è forse ovvio, ma anche dal grido più ovvio – “vogliamo la pace, viva la pace” – può nascere un fiore di Pace.

LUCIANO COSTA

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