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Troppi poveri, ma i “profitti” non conoscono crisi…

LA POVERTÀ È UNA REALTÀ DRAMMATICA e in costante aumento. Sono 5,6 milioni le persone che in Italia vivono sotto in indigenza. Un numero che è cresciuto costantemente nel corso degli ultimi anni, soprattutto a causa delle conseguenze economiche legate alla pandemia. “In Italia – ha spiegato Antonio Russo, portavoce di “Alleanza contro la povertà, in una intervista – dieci anni fa erano due milioni e 135.000 i poveri assoluti. Oggi siamo di fronte a una popolazione che ne conta quasi il triplo”. L’indigenza è stata aggravata dall’aumento dei prezzi e dell’inflazione, arrivata quasi al 6% in Italia. E questa inflazione è una vera e propria tassa che “praticamente è una tassa piatta su chi non ce la fa. Infatti, quando aumenta l’inflazione, spiegano gli economisti i beni di consumo sono quelli più colpiti ma sono anche quelli dei quali non si può fare a meno”. A questo quadro generale, spiega il portvoce della benemerita associazione “andrebbe anche aggiunta la sospensione da agosto del reddito di cittadinanza per 160.000 famiglie, alla quale si aggiungerà, entro la fine di quest’anno, la sospensione totale del sussidio”. Molto probabilmente, dunque, “la fascia dei poveri assoluti aumenterà, e questo non inciderà solo sull’alimentazione delle famiglie, ma anche sulla possibilità di studiare e di curare i suoi componenti”.

A destare preoccupazione sono soprattutto le famiglie in povertà relativa, quelle famiglie che fino a qualche tempo fa conducevano una vita assolutamente normale e che prima del Covid avevano una situazione reddituale nella norma e un lavoro dignitoso. “Oggi, anche a causa della pandemia, quelle certezze si sono disciolte”. Restano i problemi delle tantissime famiglie che vivono in povertà relativa, dei nuclei familiari “che un reddito ce l’hanno, ma che si trovano in difficoltà perché composti da più di tre persone, il che sottolinea come la linea di confine tra povertà relativa e assoluta si fa sempre più sottile, delineando un futuro molto difficile per la popolazione.”

Secondo l’Associazione “Alleanza contro la povertà”, per riuscire a combattere concretamente il fenomeno servono misure modellate sui bisogni del cittadino, “partendo col la reintroduzione del principio dell’universalismo selettivo, ovvero una misura di contrasto alla povertà destinata a tutte le persone e le famiglie in difficoltà, a prescindere dall’età”. Le proposte di Alleanza, nate dopo un’attenta analisi della nuova legge 85/2023 hanno portato alla stesura di un documento programmatico, che verrà presentato in Senato il prossimo 24 settembre, “perché l’attuale legge ragiona per categorie – spiega l’Associazione – e i poveri purtroppo non possono essere trattati per categorie differenti. Infatti, chi è in condizioni di difficoltà lo è e basta”. Tra le 8 proposte contenute nel testo, spiccano la richiesta di reintrodurre a 9.360 euro annui la soglia reddituale di accesso differenziato per coloro che sono in locazione e la domanda di far allentare il vincolo di residenza per gli stranieri dai 5 anni previsti dalla legge ai 2 di residenza effettiva, affinché possano accadere ai sussidi. Secondo Alleanza contro la povertà “si dovrebbe migliorare anche la cumulabilità reddito-lavoro per non disincentivare le persone a cercare un impiego”. Tutto questo mentre aumenta la preoccupazione per il ruolo che i comuni ricopriranno una volta concluso il reddito di cittadinanza. Per tanto che possano fare “da soli non possono affrontare una crisi così profonda e radicata”.

L’INFLAZIONE PREMIA I PROFITTI? Dopo decenni in cui il problema sembrava essere il suo contrario (la deflazione), l’inflazione è tornata a colpire come alla fine degli anni 70, corrodendo potere d’acquisto e ricchezza degli italiani e mettendo in seria difficoltà i ceti più deboli e chi vive in condizioni di povertà o vicino a quella soglia. Quest’inflazione ha un elemento in comune con quella nata dalla crisi petrolifera, ovvero l’aumento dei costi dell’energia a causa della nostra dipendenza dall’estero, ma si è poi sviluppata con caratteristiche in parte diverse. A differenza degli anni 80, quando la spirale prezzi-salari fu in parte responsabile della sua persistenza, all’inflazione di oggi si sommano infatti fattori come l’emergenza climatica e i suoi choc sull’offerta dei beni alimentari. A questi si aggiunge il sospetto che una parte del fenomeno sia dovuto alla cosiddetta inflazione da profitti, ovvero a imprese che “approfittano” della situazione per alzare i prezzi.

Nelle moderne economie di mercato ci sono tre fattori, tutti necessari, che rendono impossibile, almeno in termini di principio, l’inflazione causata dai profitti. Il primo è la concorrenza, il secondo l’elasticità della domanda dei consumatori, il terzo la loro informazione su prezzi e caratteristiche dei prodotti. Facciamo un esempio molto semplice. Se la pizzeria sotto casa “approfitta” dell’inflazione per aumentare oltre misura i prezzi di listino, il fatto che nel mio quartiere esistano altre pizzerie e la capacità dei consumatori di essere “elastici”, confrontando i prezzi e cambiando ristorante, frenerebbero subito le sue velleità. Ci sono purtroppo settori nei quali la concorrenza è scarsa o assente (si pensi a quello dei traghetti i cui costi incidono significativamente sulle vacanze di molti italiani) e in molti casi i consumatori non sono né bene informati né così dinamici e pronti a cambiare le loro abitudini.

Se questo è il quadro, la prima decisione del governo per moderare l’inflazione da profitti è almeno utile. Rendere noto il prezzo medio del carburante ai distributori di benzina aumenta l’informazione e rende possibile l’esercizio della scelta per i consumatori. L’elasticità della domanda trova comunque un limite nei costi di ricerca. Andare da una pizzeria all’altra nel quartiere è tutto sommato facile, ma non possiamo passare ore girando con l’auto in riserva per cercare il distributore con i prezzi più favorevoli. Per questo un’informazione affidata a un’apposita “ap” sarebbe molto più efficace dei cartelli ed aumenterebbe la risposta dei consumatori ai prezzi.

La seconda iniziativa del governo è ambiziosa e con minori probabilità di successo. Definire un paniere di beni che avranno nelle intenzioni un prezzo calmierato e convincere tutti gli attori della filiera ad accettare volontariamente il prezzo ribassato è un intento lodevole che richiede però la cooperazione di molti attori. Per rendere l’iniziativa più efficace sarebbe necessario un marchio (che potrebbe essere reso noto attraverso forme di Pubblicità Progresso e tutti gli strumenti digitali possibili) in grado di identificare di fronte ai consumatori i produttori che hanno deciso di aderire all’iniziativa. Si solleciterebbe il voto col portafoglio dei consumatori per premiare le imprese che hanno preso impegni nella campagna di riduzione dell’inflazione. In questo modo, il sacrificio di utili per le imprese che aderiscono potrebbe essere compensato da un aumento di domanda rafforzato da una chiara identificazione degli stessi prodotti, che stimola il voto col portafoglio dei cittadini per realizzare un obiettivo di comune interesse nazionale (la riduzione dell’inflazione). Rilevante in questo caso il valore “civico” dell’elasticità della domanda dei consumatori e del voto col portafoglio.

Abbiamo sempre pensato che scegliere un prezzo più basso (a parità di qualità e sostenibilità sociale ed ambientale dei prodotti beninteso) fosse semplicemente un’azione nell’interesse del consumatore. In realtà scopriamo che quest’azione ha anche un valore sociale e un’esternalità positiva. Se in sostanza, tornando al nostro quartiere e alle due pizzerie, i consumatori votano col loro portafoglio andando a cena nella pizzeria che non ha aumentato a dismisura il listino prezzi, l’altra pizzeria potrebbe desistere dall’intento di alzare i costi, non contribuendo dunque alla crescita dei prezzi, con un’azione che modererebbe l’inflazione. Se il meccanismo si ripetesse in tanti altri settori, l’effetto aggregato potrebbe essere significativo. Abbiamo imparato a conoscere il voto col portafoglio dei consumatori come premio per le filiere e i prodotti che promuovevano sostenibilità ambientale e dignità del lavoro. Esiste forse uno spazio di azione civica dei cittadini dove elasticità della domanda e voto col portafoglio non solo hanno effetti positivi sui propri bilanci, ma possono contribuire a calmierare le dinamiche dei prezzi favorendo una guarigione più rapida dalla malattia dell’inflazione.

(A cura di LUCIANO COSTA)

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