Il Domenicale

Non vergogniamoci di piangere…

Niente di nuovo. Così i giovani non sanno quello che i vecchi hanno già dimenticato: le guerre mondiali (prima e seconda, senza differenza alcuna); gli orrori delle dittature (comunista nazista fascista, diversi i colori medesimo disegno); i caduti sui campi di battaglia, nelle carceri del regime, nei campi di sterminio, sui monti dove in tanti si erano radunati per cantare Libertà (migliaia, milioni, tutti vittime innocenti di altrui perverso disegno di potere e dominio); la fatica di ricostruire un Paese e un Mondo pacifici democratici liberi (capaci di ripudiare la guerra e di investire invece intelligenza e risorse nel dialogo e nel confronto); il dovere di lasciare spazio alla “buona politica” (l’unica in grado di unire pensieri diversi e di portarli alla comprensione e condivisione del “bene comune”, anche l’unica  capace di dissolvere ideologie nefande, fondate sulla spartizione piuttosto che sulla coesione); la necessità irrinunciabile di non smettere mai di cercare e ricercare le ragioni del vivere “tutti per uno, uno per tutti” (tradotto nella lingua del Vangelo vuol dire “ama il prossimo tuo come e più di te stesso”) così che a ciascuno siano garantite piena dignità e pari opportunità… “Purtroppo – diceva il vecchio saggio a chi gli chiedeva lumi sul cammino da intraprendere per arrivare sulla vetta dalla quale sarebbe stato possibile toccare il cielo – è più facile dimenticare che ricordare”. Così, anche fatti che in sé conservano dolore e lacrime (tanti, troppi e senza un archivio sincero che li proponga all’attenzione di tutti) passano pressoché inosservati. Non possiedo l’elenco completo di tali e tanti misfatti, però di alcuni posso rendere testimonianza: cinquant’anni fa, 28 maggio 1974, in una piazza di Brescia, città leonessa d’Italia, una bomba depositata da loschi figuri ancora sconosciuti ma senza dubbio feroci brigatisti neri, seminò morti e feriti, che quarantasei anni fa, 16 marzo 1978, Aldo Moro, un servitore mite e fiero di mettere il Vangelo ben dentro le ragioni della politica, venne rapito da orrendi figuri vestiti da brigatisti rossi (per mettere a segno il loro vile rapimento, quei brigatisti uccisero i cinque uomini incaricati di scortarlo fino al Parlamento della Repubblica dove esercitava il mandato ricevuto dagli elettori), convinti che tenendolo prigioniero (durò 55 giorni quel supplizio) e poi facendolo tacere per sempre (lo uccisero senza concedergli il bene di un prete che lo consolasse e accompagnasse al Cielo, tal quale a un qualsiasi agnello destinato alla tavola pasquale) sarebbe bastato a rendere accettabili i loro ululati rabbiosi-rancorosi-nauseanti e vano l’impegno da lui onorato nel gridare al mondo il valore della Verità che sempre e sola rende liberi… E ancora: ieri, l’altro ieri, ieri l’altro, un giorno fa, un’ora o un minuto fa, giusto il tempo necessario per dire che la guerra e l’umana insipienza hanno già seminato morte e distruzione in nome di un potere da conquistare per sottomettere popoli al volere di un singolo e folle dominatore, per mettere in pagina le cronache che certificano i naufragi di barche stipate da miserabili colpevoli soltanto di cercare nuove terre e nuove speranze di vita, per certificare che l’odio ha ragione e la Ragione vera solo torto e nessun valore… Anche, purtroppo, per vedere giovani a cui è stata offerta ogni possibilità di conoscere e approfondire (è accaduto appena l’altro ieri all’Università di Roma, si ripete dove qualcuno tenta di imporre visioni di parte piuttosto che visioni impregnate di di risoetto per la verità), chiudere gli occhi e lasciarsi così condurre unicamente da odio piuttosto che da amore, da prevaricazione piuttosto che da confronto, dal “far tacere” piuttosto che dal “lasciar dialogare e confrontarsi”…

Stamani, come ieri, ho dovuto prendere atto che non abbiamo imparato nulla. Dicevamo, ieri e l’altro ieri, “mai più”; oggi sgraniamo gli occhi senza vedere che le miserie e gli orrori che rinnovano la loro attualità, spalanchiamo la bocca per gridare allo scandalo suscitato da guerre e soprusi senza però avere certezza che il rumore delle parole pronunciate a favore di pace, libertà e democrazia sia, se non apprezzato, almeno percepito o anche solo ascoltato… “Davvero – ha scritto un inviato al seguito di guerre e tragedie – non abbiamo imparato nulla e la storia, con noi, non è stata affatto magistra vitae”. In tal modo si rinnovano le medesime domande: fino a quando saremo costretti a contare le guerre? fino a quando continueremo a contare i morti a causa di naufragi? fino a quando dovremo sopportare il rumore di bombe, cannonate, sparatorie? fino a quando saremo costretti a sopportare piuttosto che a muoverci insieme per gridare insieme “basta, basta, basta…”. E queste non sono domande retoriche, “sono invece interrogativi reali, concreti, che vogliono scuotere le coscienze di tutti”, perché quelle elencate sommariamente sono questioni umane e umanitarie che riguardano tutti, perché in quanto “cittadini del mondo” siamo chiamati a offrire una soluzione. E se alla politica spetta trovare la quadra in campo normativo, resta dovere di ciascuno cercare la pace, fare la pace, assicurare la pace rimuovendo ostacoli, accogliendo chi bussa alla prora senza chiedere prima chi sei e che cosa vuoi, proteggendo i perseguitati per fini politici personali e privati, promuovendo azioni di pace, aiutando gli ultimi a sentirsi almeno pari a chiunque gli assomigli… Per farlo, avremmo bisogno di un novello “cireneo”, proprio tale e quale a quel Simone di Cirene costretto a dare una mano al Cristo costretto a portare la croce, diventato sinonimo di una persona che ti aiuta a portare quel peso che ti schiaccia, nel momento in cui ne hai bisogno. Ma, qui e adesso, c’è ancora spazio per un qualsiasi cireneo? E qui e adesso, ci sarà “un cireneo capace, anche se magari inizialmente controvoglia, di accorgersi di tutta questa sofferenza e di dare una mano a portarla?”.

Dubito e dubitando asciugo la lacrima che di nuovo chiede udienza. No, non ho vergogna di piangere le vittime di guerre, di stragi, di agguati, di dittatori feroci, di liberi per sé ma non per gli altri, di incoscienti cercatori di ricchezze da ottenere facendo scempio della pelle dei poveri… Allora, insieme al poeta (Antonio Di Marco, sconosciuto ma vero e attuale), per favore, “non vergogniamoci di piangere e di far scendere una lacrima sul viso arido e truccato di ogni sorta di orgoglio… Perché è bugiardo e finto dire “io non piango, io sono un uomo, io sono una donna, io sono forte…”. Tutte “balle”, semplicemente “balle”. Infatti “proprio perché siamo deboli quella lacrima non riesce a formarsi ed uscire da quell’occhio che non guarda più oltre l’emozione. Il pianto è l’unico ponte tra l’emozione e la pace interiore, tra la disperazione e la speranza… No, non vergogniamoci di piangere! Di versare quella lacrima intrisa di dolore e tormento di paura e illusione, di gioie vissute e sguardi fugaci. Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima! Si piange per un ricordo o per aver dimenticato, si piange per una parola non detta o per una detta di troppo. Si piange per un tramonto, per il quale ringrazi di esistere, per un’alba che attendi la notte o cerchi appena dopo di corrergli incontro. Si piange per l’ultima pagina di un libro che non vorresti più chiudere, o per un film che ti ha svelato chi sei. Si piange per un dipinto che non puoi rubare, perché l’arte non si compra né si ruba, si possiede. Si piange per un sipario che si è chiuso sul teatro della tua vita, nell’attesa di riaprirsi per gli applausi finali. No, non vergogniamoci di piangere! Piange ogni essere che vive e respira sulla terra. Piange una rosa che non è stata donata, piange un albero sradicato alla vita mentre cercava di raggiungere il cielo, piange anche il sole per non aver mai visto le stelle. Piange il clown incompreso, sotto quel trucco di un sorriso ormai sgualcito. Piango io, quando vedo che quel mondo fantastico che gira nel circo, si conclude con il ruggito frustato di un leone. Che belle le lacrime viste allo specchio! Sono il sincero dolore di chi piange in segreto. Che belle le lacrime di un uomo, se esistono per essere asciugate dalla bocca di una donna, e quelle di una donna, se esistono per essere comprese dal cuore di un uomo. Che belli gli occhi che vorrebbero piangere sugli occhi di una persona a cui vorresti dire: se tu fossi una lacrima io non piangerei per paura di perderti! No, non vergogniamoci di piangere…”. Perché piangere a volte fa bene, accorcia le distanze tra l’essere l’avere e il divenire, aiuta a comprendere il dolore dei perseguitati, dei bombardati, dei disperati, degli abbandonati, degli offesi, dei tanti costretti a vivere nella guerra piuttosto che nella pace… Certo, il nostro è e resta “un mondo fragile, rotto, fratturato; e la nostra è una umanità ferita, cesurata, spaventata dive la guerra segna la fine della natura; dove  le dittature annunciano, adesso come non mai, l’Apocalisse”. Così, resta “difficile, difficilissimo, essere ottimisti”. Però, si può tentare di esserlo. Ma come? “Con una buona velocità di fuga” consiglia il saggio. Magari guardando le cose da una prospettiva diversa. E da lì incominciare a capire cosa resta da fare.

LUCIANO COSTA

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