Il Domenicale

Ripensare la vecchiaia, dare valore ai nonni…

L’ultimo domenicale l’avevo dedicato ad Aldo Moro, del quale il giorno dopo (9 maggio) ricorreva il quarantaquattresimo anniversario della sua truce esecuzione per mano delle brigate rosse, e alla carità politica che aveva contrassegnato il suo impegno. Dicevo: “Moro vede il futuro e lo disegna secondo realtà”. Subito dopo, con rammarico, aggiungevo: “Peccato che la metà di coloro che ascoltano le sue riflessioni, rifletta all’incontrario, notando l’ombra e mai il dito che la proietta”. Accanto mettevo le parole pronunciate da Moro quando, rivolgendosi al Parlamento, chiedeva responsabilità e unità per affrontare e risolvere i problemi del Paese. “Il Paese – diceva Aldo Moro – non si salverà, il mondo non si salverà, se la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia e nel mondo non nascerà un nuovo senso del dovere, se qui e altrove non torneremo a praticare una vera carità politica”. Settantasette giorni dopo, con la crisi di governo che pesa come un macigno e con il ricorso alle elezioni che semina sgomento e lascia intendere scenari sconcertanti (la destra estrema al potere è uno di questi), mi chiedo, per altro senza trovare risposta, quali parole userebbe oggi Aldo Moro per commentare l’indecoroso spettacolo messo in scena da troppi politici e politicanti senza arte, con scarsa parte e nemmeno un briciolo di anima, per lo più sfacciatamente contrari alla buona politica, quella che “supera ogni visione di corto respiro…”, che dice convinta che la politica o è buona o non è politica, perché il suo senso è il servizio e mai il servirsi o l’essere serviti.

Non so, nessuno lo sa, di quale scena saremo la parte o il tutto. Il rischio è di veder naufragare sogni e ideali faticosamente costruiti da sognatori adesso andati in disuso, ora vecchi e stanchi, ora assai più disposti a lasciar perdere che a mettere tempo nuovamente a disposizione dei sogni. Poveri noi, vecchi e anziani costretti a essere “spettatori muti” di una realtà che tutto riduce a icona: un chip, una faccina, poi il nulla. “Bisogna dare anni alla vita e vita agli anni” cantavano i sognatori immaginando un tempo da vivere senza fine: giovani, anziani e vecchi insieme, ognuno col suo cartoccio di certezze e di presuntuose verità, tutti disposti a non escludere nessuno, neppure i più ricchi di anni, perché non l’età ma la saggezza, la mitezza, l’esperienza, la disponibilità e l’assenza di ogni accidiosa rivendicazione avrebbero contato nel progetto di mondo nuovo posto in itenere, in cammino, in viaggio verso chissà quali beate mete. Di quel canto restano poche note stonate, incapaci di dare senso alla melodia.

Però, proprio oggi, domenica 24 luglio si celebrerà la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, che secondo l’intenzione dettata da papa Francesco “nella vecchiaia daranno ancora frutti” essendo palese come i nonni e gli anziani siano un valore e un dono… Il tema dato alla giornata è anche un invito a riconsiderare e a valorizzare i nonni e gli anziani troppo spesso tenuti ai margini delle famiglie, delle comunità civili ed ecclesiali. “La loro esperienza di vita e di fede – ha scritto il papa – può infatti contribuire a edificare società consapevoli delle proprie radici e capaci di sognare un avvenire più solidale”.

Dunque, se ho ben capito, gli anziani e i nonni sono il “tesoro dell’umanità”, sono coloro che “nella vecchiaia daranno ancora frutti”. Sarà anche vero, ma se mi guardo intorno vedo una moltitudine esagerata di contraddizioni. Però, adesso, piacevolmente stupisco per la scelta di utilizzare un termine (vecchiaia) spesso evitato, quasi evocasse qualcosa di spiacevole o una malattia di cui si teme il contagio e mi rallegro pensando con Francesco che “i vecchi con la loro memoria e la loro storia danno ai giovani la forza per andare avanti, per portare quella forza nella società”.

In ogni caso, la vecchiaia è un’emergenza. Nel senso letterale del termine, perché il numero di persone che invecchiano cresce in ogni parte del mondo e dà luogo a un fenomeno mai sperimentato nella storia dell’umanità: gli anziani sono o si avviano a essere più numerosi dei giovani, invertendo la naturale piramide demografica. Però la vecchiaia è un’emergenza anche dal punto di vista sociale e la pandemia che da tre anni imperversa ha solo portato alla luce molte contraddizioni che covavano sotto la cenere. Una di queste si chiama “solitudine”, un male difficilmente curabile se manca la volontà di annullare le distanze tra che la vita la vive nel pieno delle forze e chi invece la vede svanire giorno dopo giorno. Si tratta allora di comprendere quali siano il senso della vecchiaia e il posto degli anziani nelle nostre società. Magari per scoprire che si tratta di “una sfida che investe la nostra cultura”, una cultura nella quale prevale ancora il modello assistenziale, che tanto bene ha fatto in passato, ma che ora deve rivedere la sua pretesa di aver assolto il dovere di proteggere l’anziano fin dove la vita lo condurrà. Dicono gli esperti che “fino a quando non impareremo a cogliere il valore degli ultimi anni della nostra vita, continueremo a scartare chi tra di noi è più anziano”. Amarissima verità o solo una semplice esagerazione?

Poi, per fortuna, ecco che i nonni prendono forma e sostanza. Certo, che i nonni fossero buoni, lo si sapeva da sempre; che fossero importanti è una verità che acquista, di anno in anno, sempre più spessore. “Vivere con un bravo nonno può decidere di una vita”, sostengono gli psichiatri. Io che psichiatra non sono, ma che invece sono semplicemente nonno mi specchio nella definizione sebbene non tocchi a me definirmi “bravo” e utile all’idea di orientare per il verso giusto la vita dei nipoti.  Così i nonni sono una risorsa vitale! Per quale ragione? Secondo gli esperti per due ragioni: perché salvano l’infanzia e perché mostrano in diretta l’immagine dell’Uomo cresciuto, dell’Uomo adulto.

Salvano l’infanzia, perché “oggi nulla, o quasi nulla, è su misura di bambino” ha sentenziato un famoso psicologo. “Oggi i piccoli sono spremuti, costretti a passare le giornate tra studio e piscina, lezioni di nuoto e di violino, palestre e corsi di computer… Oggi i piccoli sono storditi. Storditi da messaggi superiori alle loro possibilità. Oggi i piccoli sono disincantati, senza stupore, senza punti esclamativi. Tutto appare loro scontato”. Per alcuni psicologi “oggi i bambini nascono vecchi”. E benché siano digitalizzati, cioè padroni assoluti del computer, non sanno allacciarsi le scarpe. Restano per fortuna i nonni che permettono ai nipoti di essere (non di ‘restare’!) bambini. Bruno Bettelheim, grande psichiatra austriaco, è giunto a dire: “Datemi i primi sei anni e tenetevi tutti gli altri!”. Ebbene, i primi anni della vita i piccoli, particolarmente oggi, li trascorrono con i nonni il cui potenziale educativo non ha meno valenza di quello della madre e del padre.

Mostrano in diretta l’immagine dell’uomo adulto, vale a dire dell’uomo cresciuto. Tale, infatti, è il significato del termine ‘adulto’ (dal latino adolescere, crescere). Come spiega l’esperto “se l’’adolescente’ è crescente, l’adulto è ‘cresciuto’. Anche quella dell’essere immagine visiva dell’adulto che ci viene offerta in diretta dai nonni è una prova chiara e non confutabile della loro importanza nell’attuale società”. Se manca l’adulto, infatti, manca il forgiatore dell’Uomo. In altri termini: se i ragazzi zoppicano, è perché gli adulti non riescono a stare in piedi.

“Se oggi in questo pazzo mondo vi sono ancora frammenti di saggezza – ha detto Vittorino Andreoli, psichiatra dell’umana avventura -, lo si deve ai nonni!”. Ho letto da qualche parte che i lavoratori trasformano il mondo, che i poeti lo cantano, che i nonni impediscono che vada in frantumi. Se potessi aggiungere qualcosa direi che non sarebbe male assegnare ai vecchi, anziani e nonni il compito di trasformare la “carità politica” messa all’avvio di questo domenicale in esercizio quotidiano. La crisi che stiamo vivendo, infatti, necessità, prima di tutto di nuova “carità politica”, poi di idee e di promesse.

LUCIANO COSTA

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